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ENERGIA
L'abbondanza è finita
Nicola Nosengo

Non esiste un pasto gratis, recita uno dei principi fondamentali dell'economia politica. Ma nel corso dell'ultimo secolo sono stati in molti, economisti compresi, a credere di poter consumare pasti (e non solo) sempre più abbondanti senza subirne i costi. E a pagare il conto rischiano ora di essere le generazioni future. Di questo e di altro parla Luigi Sertorio, fisico teorico all'Università di Torino, nel suo Storia dell'Abbondanza, edito da Bollati Boringheri

Il libro è una raccolta di sei saggi indipendenti, accomunati però da un'idea: che nel corso della storia della specie umana ci sia stata a un certo punto una frattura, quando la ricerca del benessere si è trasformata in un consumo sempre più vorace e sproporzionato di energia. Una società "energivora", la definisce Sertorio, le cui richieste eccedono ormai di molto le capacità del pianeta che abitiamo, ma ormai incapace di ridurre anche solo minimamente quel fabbisogno energetico.

Per secoli, ci dice Sartorio, l'essere umano ha vissuto in un'era "fisiocratica", affidandosi a fonti energetiche naturali, al proprio lavoro e a quello degli animali. Ora siamo ormai da tempo in un'era tecnologica, basata sullo sfruttamento di risorse fossili (carbone, gas, petrolio e nucleare), che producono energia in quantità molto maggiore, ma anche scorie con pesanti conseguenze sugli ecosistemi. All'inizio del XX secolo, quando cominciò lo sfruttamento dei combustibili fossili, l'illusione di un benessere perpetuo e sempre crescente si diffuse presto nei Paesi occidentali. Ma ormai è chiaro che quella abbondanza si sta trasformando in scarsità, perché è gestita in modo del tutto inefficiente.

"E' possibile vivere in case buone, muoversi con trasporti buoni, essere attivi e in buona salute con alimentazione buona e cure mediche buone, e consumo energetico molto, ma molto minore di quello nel quale siamo immersi", scrive l'autore. "Dal punto di vista dell'individuo razionale appare che il consumismo è imposto, non è l'accompagnatore del benessere della collettività degli individui ma è la malattia di questa collettività".

Le risposte dell'ambiente a questa incontrollata corsa al consumo sono sempre più evidenti. E intanto l'esaurimento delle scorte di combustibili fossili si avvicina, e gli effetti della crescente competizione per assicurarsele vanno dalla recessione economica diffusa alle guerre.

Per offrire una via di uscita, Sertorio riprende la favola del lupo e dell'agnello: perché tutti possano abbeverarsi al ruscello dell'abbondanza è necessario un largo consenso sull'uso ragionato delle risorse, ma anche sul modello sociale da perseguire e sui valori a cui si intende dare priorità.

Come Jeremy Rifkin in Economia all'idrogeno, Sertorio individua insomma nel bilancio energetico il nodo centrale per il futuro dell'umanità e del pianeta. A differenza del saggista statunitense, tuttavia, non si accontenta di individuare in una nuova tecnologia e una nuova risorsa energetica la soluzione. Il problema, per lo studioso torinese, è alla radice, è culturale e sociale. Sta anche nella crescente incomunicabilità tra diverse sfere del sapere umano.

E' dal Rinascimento, ci dice Sertorio, che i linguaggi con i quali viene descritta e interpretata la realtà hanno smesso di comunicare, prendendo tre strade divergenti. Da una parte c'è l'economia, cioè la dinamica del denaro; da un'altra la tecnologia, figlia del pensiero scientifico; e infine, drammaticamente scissa dalle prime due, c'è l'etica, cioè la dinamica dell'essere umano. Queste tre sfere di pensiero "non sono mai state così lontane l'una dall'altra", commenta Sertorio.

Dare un futuro all'umanità impone anche di riunificare questi tre linguaggi, perché nessuno di essi da solo permette di comprendere e affrontare le contraddizioni profonde del mondo in cui viviamo. Al momento, scrive Sertorio, "non abbiamo il pensiero adatto a comprendere la dinamica della quale siamo parte".

La storia dell'abbondanza
Lunedì 3 novembre 2003
Centre Culturel Français Galliera
Ore 15.00



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