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28
ottobre 2003
Arte e tecnologia
Giulio Nepi
Bill
Viola, Laurie Anderson,
Nam June Paik, tanto per gradire.
E poi Studio Azzurro, Chantal Michel, Yuan Shun
e altri dodici, bravissimi e anche famosi.
Non sarà da scuola di giornalismo ma vale
la pena di cominciare così, per descrivere
la mostra Il
viaggio dell'uomo immobile. Diciotto stanze d'artista
per un percorso nell'immaginario, a
Villa Croce fino al 1° febbraio 2004. Il chilometrico
e poco felice titolo rischia infatti di non rendere
giustizia allo sforzo dei curatori, che hanno obbiettivamente
organizzato una mostra-evento con la crème
della crème della videoarte mondiale.
A Genova, se non era ben chiaro a tutti.
"L'idea di fondo", spiega Sandra Solimano,
padrona di casa e coordinatrice di un comitato scientifico
poco genovese e molto internazionale, "era
cogliere lo sviluppo dell'uso della tecnologia in
generazioni di artisti molto diverse fra loro".
"Non è una mostra storica sulla videoarte",
si affretta a puntualizzare, "piuttosto un
percorso nell'immaginario di diciotto artisti, una
sorta di Matrix. L'estensione potenzialmente
infinita delle possibilità comunicative della
tecnologia, assieme alla sua estrema indeterminatezza,
può inquietare perché è un
nuovo che sappiamo di non poter maneggiare. Qui
interviene la sensibilità degli artisti,
che sono la coscienza di tutti noi, proponendo diciotto
interferenze fra lo spazio fisico e la dimensione
dell'immaginario e del virtuale".
Un percorso iniziatico, insomma, all'interno del
mondo interiore di diciotto artisti provenienti
da mezzo pianeta. Eccolo qui il "viaggio dell'uomo
immobile".
Fra l'altro l'iniziativa si apre in concomitanza
con il Festival Internazionale della Scienza (e
si chiuderà con Genova Capitale Europea della
Cultura): un evento non a caso, visto che il mezzo
con cui si concretizza questo "viaggio immobile"
è proprio la tecnologia.
La massiccia presenza degli stessi artisti, quasi
tutti presenti all'inaugurazione, sta a dimostrare
come la mostra sia effettivamente sentita come un
piccolo-grande evento. Almeno quattro opere sono
state realizzate e/o modificate proprio per Villa
Croce.
In un veloce tour vale la pena di segnalare (ovviamente)
Bill Viola che con Memoria
propone la lenta emersione di un volto umano, un
groviglio elettronico che propone l'impossibile
materializzazione di un pensiero, un ricordo. Accanto,
il "computer sensibile" dei francesi Edmond
Couchot e Michel Bret,
capace di far fluttuare i semi del tarassaco al
semplice soffio del passante, piega il freddo calcolatore
elettronico al no-sense della casualità.
Affascinante anche l'installazione post-barocca
dello Studio Azzurro, che anima
la volta di uno stanzone con l'eterea presenza di
angeli senz'ali: le piume cadute sono sospese a
mezz'aria. Poco oltre, la scultura del francese
Marc Didou, una specie di totem
africano simile all'Urlo di Munch, in realtà
proveniente dalle analisi della tomografia a risonanza
magnetica: uno specchio convesso ne ricostruisce
anamorficamente l'immagine. Fabrizio
Plessi, nella sua Foresta di fuoco
cortocircuita passato e presente, preistoria e tecnologia,
incendiando virtualmente dei veri tronchi d'albero
con le fiamme immaginarie di un monitor, mentre
la svizzera Franziska Megert costruisce
uno straniante cubo da "realtà virtuale"
che inganna la nostra percezione spaziale. Infine
Laurie Anderson [At the shrink's,
nella foto, ndr] dà vita ad un fantasmatico
folletto di sé stessa, proiettandosi in miniatura
su un blocco di vetro scolpito.
Per una volta, non abbiate paura di "non
capire": ogni opera è commentata
in didascalia con una breve ma esauriente biografia
dell'artista e una decina di righe di spiegazione.
La didattica, nell'arte contemporanea, è
merce rara: complimenti dunque al fegato dei curatori,
capaci di non rinchiudersi in una torre d'avorio.
Ultime due righe per ricordare che un rete di mostre
collegate a quella di Villa Croce darà vita
nelle gallerie private genovesi ad un percorso complessivo
su simili tematiche. |
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